Torvo…il corvo? Parte 3
LA SCIENZA INDAGA
Oggi, tutti gli etologi concordano nell’affermare che i corvidi fanno parte degli animali più intelligenti del globo con delle capacità intellettive pari a quelle delle grandi scimmie antropomorfe e superiori a quelle di un elefante, di un ratto, di un maiale o di un delfino. Per la sua intelligenza, l’uccello si guadagna i soprannomi di “Scimpanzé dell’aria” e di “Grande scimmia piumata”.
Premetto che userò “corvo” nella sua accezione allargata cioè, facendo astrazione dei nomi che incasellano le 130 specie appartenenti alla famiglia dei corvidi. In altre parole, non specificherò ogni volta il nome scientifico e scriverò “corvo” che si tratti del corvo imperiale, della taccola, del corvo comune (Corvus frugilegus – in francese: le freux), della cornacchia nera (Corvus corone), della cornacchia grigia (Corvus cornix – in francese: la corneille mantelée), della ghiandaia (Garrulus glandarius), della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) uccello simbolo del parco nazionale svizzero che si nutre in prevalenza di semi di coniferi, o della gazza (Pica pica).
1/ Esperimenti e osservazioni
Alcuni corvi riconoscono la loro immagine nello specchio.
L’esperimento consiste nell’applicare sul petto del corvo un piccolo adesivo di colore chiaro, in un posto al di fuori del suo campo visivo. Messo davanti allo specchio, l’uccello incomincia a grattarsi con una zampa in modo da staccare l’adesivo. La sua reazione non è insignificante; dimostra un grado di consapevolezza della propria identità. Capisce di essere in presenza del suo riflesso e non di un altro corvo. Fin a tempi recenti, si riteneva che la coscienza di sé fosse appannaggio di pochi mammiferi.
Molti sono capaci di fabbricare strumenti; tutti li sanno utilizzare.
In natura, il corvo della Nuova Caledonia è solito usare ramoscelli per catturare larve annidate nelle cavità dei tronchi o nelle fessure rocciose. Non si accontenta del primo stecco che trova. Sceglie con cura un rametto e con il becco ne modella l’estremità a forma di gancio allo scopo di aumentarne l’efficacia nello stanare le prede. Dopo aver adoprato l’attrezzo acchiappa-bruchi, non l’abbandona sul posto ma lo mette da parte per riutilizzarlo; il che suppone memoria e predisposizione a proiettarsi nel futuro, a pianificare.
Esperienze fatte in laboratorio attestano che, senza aiuto o addestramento, il corvo sa ordinare in modo appropriato una serie di azioni per acchiappare una leccornia sistemata in fondo a una scatola trasparente forata da una piccola apertura. Non si perde d’animo se gli vengono forniti bastoncini troppo corti per raggiungere il boccone: li assembla con destrezza creando così un nuovo strumento di lunghezza adeguata. Se il cibo è custodito all’interno di un distributore automatico che funziona tramite l’inserimento di un pezzo di carta di misura specifica, sa scegliere il pezzetto giusto fra quelli collocati nella gabbia. E non si arrende affatto quando, in un secondo tempo, il ricercatore gli concede soltanto un intero foglio di carta: ne strappa un frammento e lo ritaglia col becco in modo da fargli assumere dimensioni analoghe a quelle del pezzetto utilizzato la volta precedente.
Tutti gli esperimenti evidenziano l’acume del corvo, la sua spiccata capacità di ricordare e la sua notevole velocità di apprendimento. Un test, che esamina la sinergia fra le sue facoltà di memorizzare, di proiettarsi nel futuro e di valutare, ha messo in luce un mirabile autocontrollo e un acuto ponderare: il corvo non mangia il cibo subito accessibile se capisce che, aspettando un po’, otterrà un boccone migliore. In pratica, riesce a trattenere un impulso primordiale, ossia la voglia d’ingoiare ciò che ha sulla punta del becco, quando sa di poterlo barattare, qualche minuto dopo, con qualcosa di più gustoso. Rendetevi conto: Qui, l’uccello non è confrontato a una scelta quasi ovvia, basata sulla quantità di cibo; opera una valutazione di qualità, tutta in finezza gustativa. Non esercita il self-control con la speranza di mangiare di più; lo esercita nell’aspettativa di ricevere un pezzetto migliore.
Sempre riguardo alla memoria, numerose sono le testimonianze che assodano la facoltà del corvo di individuare i volti e di tenere a mente la faccia della persona che gli ha recato danno o viceversa, che lo ha aiutato. A seconda del caso, manifesta avversione o dimostra segni di gratitudine. Come illustrazione al primo caso, prendiamo l’ornitologo: lo scienziato è costretto a indossare una maschera quando si appropinqua ai nidi per stringere un anello di riconoscimento intorno alla zampa dei piccoli. Se non badasse a camuffarsi mentre opera, in seguito non potrebbe più avvicinare la colonia a volto scoperto senza scatenare la gracchiante ostilità e gli attacchi degli adulti per i quali sarebbe indelebilmente bollato come predatore o quanto meno come soggetto nocivo. Per inciso, se indossasse un’altra volta la maschera che ha usato, scaturirebbero infallibilmente i gridi d’allarme degli adulti.
Ora, a concretizzare un esempio di gratitudine ci pensa l’imponente collezione di bottoni, bulloni, orecchini, spille e altre cosette luccicanti accumulata da Gabi Mann, una bambina di Seattle. Da anni, la piccola condivide la merenda con i neri pennuti del suo quartiere e riempie ogni giorno la mangiatoia per uccelli installata nel suo giardino. Sovente i corvi le portano minuzie “preziose” in segno di riconoscenza.
Munito da una formidabile memoria, il corvo elabora con prontezza strategie vincenti. Sa cogliere insegnamenti dai propri errori, tiene a mente i benefici ottenuti dai suoi tentativi andati a buon fine e non cancella le trovate altrui quando si sono rivelate efficaci. Aver un’eccellente memoria gli concede non solo di etichettare gli umani benevoli e gli umani malevoli, ma anche di ricordare suoni, gridi e voci dopo diversi anni. Sa localizzare con precisione il cibo che ha sotterrato in previsione di giorni spilorci e inoltre, come asseriscono i ricercatori, non si scorda di quando lo ha seppellito e di cosa contiene il suo nascondiglio alimentare, dimostrando di possedere una memoria episodica, cioè l’abilità di ricordare un evento e di saperlo collocare nel tempo e nello spazio. Non somiglia per niente allo scoiattolo che, il più delle volte, dimentica dove ha tesaurizzato noci e nocciole.
A questo proposito salta fuori una notevole peculiarità del corvo: quando nasconde del cibo e avverte alle sue spalle lo sguardo bramoso di un membro del gruppo, cerca d’ingannare, di bluffare, di depistare chi lo sta osservando. Un comportamento riscontrato pure in laboratorio quando viene rinchiuso in una stanza la cui porta è munita da uno spioncino: il suo atteggiamento cambia a seconda dell’apertura o della chiusura dello sportellino; agisce in modo diverso quando sa che lo possono vedere. Entra in gioco il meccanismo della cosiddetta “Teoria della mente.” Che cos’è? A grandi linee, è l’abilità a raffigurarsi gli stati mentali di altri e a utilizzare queste rappresentazioni per prevedere le loro reazioni e agire di conseguenza. Questo termine, in inglese “Theory of Mind” o “ToM”, fu introdotto nel 1978 dagli etologi Premack e Woodruff nel corso dei loro studi sugli scimpanzé. È una forma di empatia fredda, scevra di sentimenti. È un’empatia meramente cognitiva: la capacità di immedesimarsi nell’altro per intuire cosa pensa e anticipare le sue mosse.
Sulla variegata tavolozza delle sue facoltà, oltre all’empatia cognitiva, il corvo conta l’empatia emozionale, immedesimazione accompagnata questa volta da un coinvolgimento affettivo. Citerò, a titolo d’esempio, un piccolo filmato di due anni fa che circola su YouTube. Mi ha toccata; è parlante e non necessita di commento. Veniamo dunque subito ai fatti: un automobilista, in viaggio su una statale, avvista in mezzo alla carreggiata un corvo che sta beccando qualcosa. Incuriosito, rallenta e si accorge che l’uccello sta spingendo col becco un piccolo riccio, forse spaventato o forse assonnato, e prosegue a spingerlo in direzione del ciglio della strada finché non l’ha messo in salvo… Nella colonia, quando un membro perde il suo partner, è possibile assistere a un eloquente spettacolo: gli altri fanno cerchio intorno a lui e gli portano da mangiare. Esperimenti recenti hanno dimostrato una forte partecipazione emotiva del gruppo in presenza di un simile in difficoltà. Una caratteristica purtroppo fatale quando viene sfruttata da uomini malintenzionati: i gridi disperati di un corvo lasciato morire di fame in una gabbia sono un richiamo efficacissimo. Basta allora premere il grilletto per fare strage di uccelli…
Chi non ha visto gattini perdersi in finte lotte, chi non ha presente cuccioli di leone che si arrampicano sulla schiena della mamma o mordicchiano la coda del papà? Ma gli uccellini … giocano anche loro? Gli uccelli no, eccetto i corvidi che rimangono degli incorreggibili giocherelloni tutta la vita. All’inizio del capitolo dedicato alle taccole, Konrad Lorenz ci fa partecipi dello strano volteggiare delle sue “perenni compagne” che trasformano il cielo in un parco di divertimento. “Giuoco? Sì, giuoco nel vero senso della parola: dei movimenti praticati per puro piacere, senza alcuno scopo determinato…sono gli uccelli a trastullarsi con la furia degli elementi…ad ali quasi completamente chiuse si lanciano in una vertiginosa corsa di centinaia di metri contro il vento che vorrebbe sospingerli dalla parte opposta.” Si danno alla pazza gioia. Con sapienti ma quasi inavvertibili movimenti delle ali, giostrano senza fatica tra correnti ascensionali e forza gravitazionale. A turno leggere come piume o grevi come piombo, le taccole diventano coreografe di uno sconcertante balletto aereo. Questo fenomeno non è affatto orchestrato dai geni; l’etologo puntualizza: “E sia ben chiaro, si tratta di movimenti appresi, non di gesti innati e istintivi…tutte queste doti non costituiscono un patrimonio ereditario, ma sono frutto di una conquista individuale.”
Il vento non è l’unico elemento a stimolare la creatività dei corvi; piace loro pattinare sul ghiaccio, slittare sui parabrezza, appendersi col becco a rami flessibili per dondolarsi come fossero seduti su un’altalena, rotolarsi nella neve, sciare… no, non sto esagerando: se non mi credete, andate sulla rete e gettate un occhio alla spassosa scena in cui una cornacchia usa il coperchio di un barattolo per praticare snowboard su un tetto innevato. Imperdibile! Esilarante lo spettacolo di un corvo attaccabrighe che tallona saltellando un dobermann con l’intento di pinzargli la coda: si avvicina da dietro il più possibile e s’immobilizza come imbalsamato ogni volta che il cane dà segno di sospettare qualcosa: una versione aviaria del nostro “un-due-tre-stella”. Alla fine, riesce davvero ad acchiappargli la coda. L’altro, abbaiando a più non posso, scatta per acciuffarlo ma invano. Il mattacchione si è già innalzato a debita distanza. Bisogna riconoscere che è assai imbarazzante essersi fatto prendere per la coda da un pennuto! Si sono visti corvi fare la posta a un altro uccello: lo spiavano mentre frugava dove prima avevano fatto finta di nascondere qualcosa e in tutta evidenza, erano divertiti per lo scherzo. Nessun dubbio, i corvidi sono dei gran burloni!
2/ Cervello di gallina
Il corvo si avvera un soggetto di studio d’interesse sempre crescente. Fino a qualche decennio fa, il cervello degli uccelli era sottostimato dai biologi che lo consideravano un organo rudimentale in confronto a quello dei mammiferi. Non destava curiosità. Lo penalizzava la mancanza di neocorteccia (o neopallio): era sprovvisto della “crosta” di sostanza grigia che riveste gli emisferi cerebrali di ogni mammifero e serve ad elaborare le informazioni. Inoltre, il suo aspetto perfettamente levigato strideva con la superficie grinzosa del nostro, tutto ripiegato in labirintiche circonvoluzioni. Ad una prima occhiata, le sue caratteristiche lasciavano presuppore, con un’illazione infelice, che scarseggiava di cellule nervose. L’assenza di neocorteccia era erroneamente associata a una pochezza di neuroni e di conseguenza, a una ridotta intelligenza. Per giunta, le sue modeste dimensioni rafforzavano la convinzione che si trattava di un organo poco sviluppato e formato da un tessuto neurale arcaico: in pratica, sembrava ridicolamente piccolo per contenere una struttura organizzativa complessa. Pensate un po’, il cervello del corvo occupa il volume di una noce e pesa quindici grammi…
La memoria, il dono dell’osservazione e la sagacia dei corvidi hanno catturato l’attenzione degli etologi e li hanno spinto a chinarsi sull’anatomia e la fisiologia del cervello degli uccelli. Oggi la scienza ha cestinato l’ipotesi di una tenue presenza di cellule nervose nella testa dei pennuti. “Aver un cervello di gallina” non è più un’offesa. I neuroni ci sono, eccome! Sono di un tipo un po’ diverso in confronto a quelli dei mammiferi: sono più piccoli e le loro interconnessioni sono più corte. Il loro numero complessivo equivale a quello dei Primati. Per contro, la loro densità non è equiparabile: nelle zone che assumono la stessa funzione della nostra neocorteccia prefrontale, cioè in zone specializzate nelle attività cognitive di altissimo livello, se ne trovano il doppio rispetto ai Primati (ordine di cui facciamo parte). Irrompe allora una legittima obiezione: un maggior numero di neuroni non conduce per forza a un’intelligenza più brillante. Giustissimo! Le due cose non sono direttamente proporzionali ma è altrettanto vero che non è possibile sviluppare una grande intelligenza senza un cospicuo numero di neuroni e, come lo rivelano indagini recenti, gli uccelli non hanno niente da invidiare al “serbatoio” neuronale dei Primati.
Agli scienziati che, fino a poco fa, consideravano l’assenza di neocorteccia un impedimento allo sviluppo dell’intelligenza, l’uccello controbatte esponendo con orgoglio il suo pallio. Esso corrisponde a tutta la zona anteriore del suo cervello e occupa 75% dell’intera area cerebrale. Benché non goda di una struttura lamellare come la corteccia, la sua architettura a grappolo (cluster, in inglese) , così chiamata perché i neuroni sono raggruppati in amassi o nuclei, gli consente di raggiungere eccellenti risultati sul piano della conquista cognitiva. Come mai? L’istologia spiega: sia nei sei strati costitutivi della neocorteccia che nell’organizzazione nucleata del pallio, le fibre nervose, che ricevono e trasmettono le informazioni, sono disposte in modo simile. I neuroni del pallio presentano una disposizione orizzontale e verticale e delle interconnessioni che somigliano molto a quelle della corteccia. Inoltre, nelle sinapsi, punti di raccordo tra due cellule nervose, entrano in campo gli stessi neurotrasmettitori, ossia gli stessi mediatori chimici. Dunque, le due strutture anatomicamente diverse possiedono in realtà un sistema di “cablaggio” similare e funzionano pressappoco secondo le stesse modalità, raggiungendo la stessa efficacia nell’elaborazione delle risposte. Continua…