Torvo…il corvo? Parte 2

LORENZ E I CORVIDI

1/ Taccola

Tra le mascotte di Konrad Lorenz (1903 – 1989), padre dell’etologia, ossia della scienza che studia le abitudini e i costumi degli animali, figurava la taccola Cioc. Era una femmina della famiglia dei corvidi. Cioc lo seguiva ovunque, accompagnandolo durante le sue passeggiate e nelle sue gite in bicicletta. Alle taccole (Coloeus monedula – in francese: le chouca des tours), l’etologo austriaco dedicò il capitolo più lungo del suo libro L’anello di Re Salomone, pubblicato per la prima volta nel 1949, e lo intitolò “Le mie perenni compagne”. Nel capitolo, confessa di essersi “perdutamente innamorato di questi uccelli dagli occhi argentei.”  Grazie a Cioc, si è addentrato nel mondo dei corvidi gregari e ha potuto scoprire lati insospettati della loro vita sociale.

 

Nel 1925, quando lo scienziato acquista la piccola taccola in un negozio di Altenberg in Austria, lo fa con la ferma intenzione di liberarla non appena sarà diventata autonoma. Però, l’indissolubile attaccamento figliale di Cioc nei suoi confronti lo costringe a cambiare piano: nel 1927 mette Cioc alla guida di una famigliola di quattordici giovani taccole. È l’occasione ideale per osservare da vicino il comportamento di questi uccelli. Konrad li lascia liberi di entrare e uscire dalla voliera che ha installato sul cornicione della casa di Altenberg, sulle rive del Danubio. Mediante anelli colorati infilati sulle loro zampe riesce a contraddistinguerli e li battezza con nomi diversi: Doppioblù, Rossodestro, Giallosinistro, Doppialluminio, Gialloverde… Nota presto che il capo non aggredisce in modo indifferenziato i membri della comunità; si adira solo contro il numero due, il “pretendente al trono”. Si accorge poi che simile reazione non è circoscritta al posto di comando, che non è una peculiarità del leader, bensì costituisce la regola all’interno del gruppo: ogni uccello s’infuria per contrastare l’atteggiamento impertinente di colui che gli sta immediatamente sotto, nella scala gerarchica. Se il litigio fra due s’inasprisce, il despota funge da arbitro e interviene solitamente in difesa del più debole, di quello che sta sul gradino inferiore della scala gerarchica.

Le quaranta pagine del capitolo, ricche di annotazioni accurate, testimoniano il lavoro minuzioso di Lorenz, la sua infinita pazienza, il suo rispetto e amore nei confronti delle creature viventi. Non lo avrei mai immaginato: ci sono punti di convergenza fra la tecnica di corteggiamento delle taccole e quella di noi uomini. Innegabile e inaspettata l’analogia nel gioco degli sguardi, evidenziata da Lorenz: “Mentre lo spasimante fissa ininterrottamente la sua bella con uno sguardo schietto e focoso, questa sembra guardare da tutte le parti tranne che verso di lui; in realtà però gli getta furtivamente delle rapidissime occhiate di una frazione di secondo, ma pure sempre abbastanza lunghe per rendersi ben conto che tutte quelle prestigiose esibizioni sono dirette soltanto a lei, e anche abbastanza lunghe perché lui capisca che lei ha capito. Se invece la bella non dimostra alcun interesse per lui, e quindi non ricambia per nulla le sue occhiate, il giovanotto rinuncia ai suoi vani sforzi e si dà pace non meno presto… di qualunque altra creatura.” A quelli che gli potrebbero rimproverare una sforzatura, cioè, contestargli di antropomorfizzare i comportamenti animali, l’etologo scrive con chiarezza: “Io non voglio umanizzare gli animali: occorre soltanto tener presente che il cosiddettotroppo umanoè quasi sempre unpre-umano, qualcosa quindi che è comune a noi e agli animali superiori. Credetemi, io non proietto per nulla qualità umane sugli animali, anzi faccio proprio il contrario, mostrando quanto sia ancora forte e profonda l’eredità animale nell’uomo.

I fidanzati si scelgono molto primo di accoppiarsi; spesso intercorre un anno fra la fase di corteggiamento e l’unione fisica vera e propria. Precisazione destabilizzante per quelli saldamente convinti che la copulazione sia il lato preponderante della vita amorosa degli animali. “ Contro il pregiudizio che nel mondo animale predomini l’elemento “bestiale”, cioè grossolanamente sensuale, dell’amore e del matrimonio, devo fare notare che, proprio fra quegli animali per cui l’amore e il matrimonio hanno una funzione importante, il fidanzamento precede quasi sempre di molto l’accoppiamento fisico.” Di solito, la coppia si forma per tutta la vita e i coniugi si sostengono vicendevolmente. Tuttavia, come canta Carmen: “l’amore è un uccello ribelle” … e le eccezioni esistono.

Impossibile non rimanere basiti davanti alla determinazione della piccola taccola Verdesinistro di umile posizione sociale che tenta di conquistare il maschio Gialloblù, numero due nella scala gerarchica, di cui si è innamorata. In partenza, la situazione appare assai intricata visto che Gialloblù non è libero ma è sposato con Rossodestro più robusta e più prestante di lei. Eppure, poco importa a Verdesinistro che affronta coraggiosamente le reazioni rabbiose e fulminee dei due coniugi e non molla; li insegue per giorni stancando la rivale e guadagnandosi passo passo il benestare di appollaiarsi accanto allo sposo. La sua insistenza verrà premiata e a lungo andare, le sue carezze (lisciare col becco le morbide penne della testa dell’amato) vinceranno la riluttanza di Gialloblù. In effetti, una mattina, senza preavviso, la nuova coppia spicca il volo versi altri cieli e abbandona per sempre la colonia.

2/ Corvo

Cioc e Martina sono inseparabili dal nome dell’etologo. Martina chi? Martina, l’oca selvatica nata in casa Lorenz e diventata famosa per il suo comportamento, a dir poco, strambo. L’ochetta vedeva in Konrad la sua mamma e scoppiava in un disperato e angosciato “fip…fip…fip” ogni volta che costui si allontanava da lei. Di giorno, lo scienziato era costretto a portare la sua “piccola croce” in un cestino attaccato alle spalle e, di notte, gli toccava ospitarla nel suo letto. Lorenz capì quasi subito che tutto derivava da un fatto apparentemente irrilevante, avvenuto nell’incubatrice al momento preciso in cui, dopo aver rotto il guscio, Martina lo aveva fissato intensamente. In questa decisiva prima occhiata, l’animale lo aveva “fotografato” e registrato come suo genitore. Egli battezzò questo fenomeno “Prägung”(coniatura). In seguito, fu adottato il termine inglese “Imprinting” per indicare una forma di apprendimento precoce e irreversibile degli uccelli e di altri vertebrati. La scoperta di Lorenz segnò l’avvio a uno studio che distingueva i comportamenti innati dai comportamenti acquisiti, che scindeva le reazioni istintive da quelle apprese.

 

Anche Roa lasciò un’impronta profonda nel cuore dell’etologo. Era un corvo imperiale (Corvus corax): per intenderci, un uccello che supera un metro e trenta di apertura alare. Roa era molto fedele e affezionato a Lorenz: “L’uccello di Wotan (Odino) è divenuto per me un compagno abituale, come per gli altri lo sono il cane e il gatto.

Il corvo possiede un’arma potente: un coriaceo becco conico dall’estremità superiore piegata a uncino. A rigor di logica, Konrad avrebbe dovuto nutrire una certa apprensione quando Roa si accomodava sulla sua spalla o sul suo braccio e invece no, era tranquillissimo. Il gran corvo, per contro, era sul chi va là, attento a non danneggiare gli occhi dell’amico. Vi sembra una descrizione surreale? Ascoltate allora le parole di Lorenz: “Quando il corvo imperiale Roa era appollaiato sul mio braccio e io accostavo intenzionalmente il mio viso al suo becco, in modo che il mio occhio aperto veniva a trovarsi vicino a quella punta adunca e pericolosa, Roa faceva un gesto proprio commovente: con una mossa  nervosa, quasi angosciata, distoglieva il becco dal mio occhio, così come un padre che si sta rasando bada a che la lama del rasoio stia ben lontana dalle manine goffe della sua figlioletta che vogliono afferrarla.”

Comunque, lasciando da parte il caso particolare dove subentra un legame d’amicizia con l’uomo, è da notare che in natura, il corvo non colpirà mai l’occhio di un suo simile perché è assoggettato al meccanismo innato di “inibizione sociale”. Così, un lupo non taglia la giugulare di un compagno di branco e un corvo non acceca un altro corvo. Giustappunto il proverbio echeggia: “Corvi con corvi non si mangian gli occhi”. Mentre l’origine di questo comportamento ereditario non è chiara e si perde negli oscuri meandri dell’evoluzione, il suo scopo è fulgido: tenere a bada strumenti di aggressione assai pericolosi. “Se il corvo, così come becca qualunque oggetto che si muove o che luccica, beccasse senza inibizione anche gli occhi dei suoi fratelli, di sua moglie o dei suoi piccoli, da molto tempo non vi sarebbero più corvi sulla terra.” Se, tra gli animali da preda, i più forti potessero dare libero corso alla loro aggressività, ucciderebbero tutti i membri del gruppo. L’inibizione fa sì che il massacro non avvenga. Essa viene scatenata da un gesto di sottomissione specifico della specie, seppure con una costante: il “duellante” in difficoltà mette in bella mostra la parte più vulnerabile del suo corpo. Per implorare pietà, il lupo sconfitto sposta la testa e protende il collo al vincitore. In segno di resa, la taccola offre all’aggressore la sua nuca in un movimento che somiglia a un inchino. Davanti a tale mossa, l’assalitore che stava per assestare il colpo di grazia, si blocca improvvisamente. Si frantuma all’istante il violento impulso di far fuori l’altro: il lupo non azzanna la gola dello sconfitto; la taccola non becca la nuca dell’avversaria che si arrende. Qualcosa come la nostra bandiera bianca…

Roa ha offerto a Lorenz prove inconfutabili della sua strepitosa intelligenza. “Conosco un unico uccello che imparò a usare un vocabolo umano quando desiderava qualcosa, e quindi a collegare un suono che aveva imparato, con uno scopo. E certamente non per caso si trattava di quello che io ritengo il più evoluto di tutti gli uccelli, cioè di un corvo imperiale.

Sarebbe ingenuo pensare che gli uccelli in grado di imitare la nostra voce comprendano il senso dei suoni che emettono. La realtà dei fatti si discosta da questo presupposto affrettato e semplicistico. Mentre canta, il canapino o il pettazzurro, alla stregua di altri uccelli canori, può riprodurre alcuni vocaboli ma non ne capisce minimamente il significato. Quando lo storno, la gazza e la taccola ripetono per gioco delle parole umane, non ne afferrano il contenuto. Per i grandi corvi e i grossi pappagalli, ne va diversamente; nei loro confronti Lorenz solleva un distinguo, corroborato da numerosi esempi all’interno del capitolo “L’anello di Re Salomone” del suo romanzo omonimo: “…i corvi e i pappagalli imitano le parole umane anche indipendentemente dal canto, e innegabilmente, a volte, tali suoni sono associati a certi concetti e hanno quasi (però soltanto quasi!) un certo significato.”

Qualunque siano le abilità cognitive dei pappagalli e dei corvi di cui Lorenz ci descrive le vicende, quelle di Roa vanno oltre. La sua intelligenza schizza sopra la media: per chiedere qualcosa, sceglie il vocabolo giusto, pertinente a ciò che vuole ottenere. E non solo: si rivela addirittura capace di effettuare una traduzione, di operare un passaggio dal linguaggio dei corvi alla lingua degli uomini. Traduzione, in che senso? Magari il fatto è sottile ma la sua rilevanza non sfugge all’orecchio esperto dell’etologo. Innanzitutto, dobbiamo sapere che i corvi si trasmettono per via genetica un grido di richiamo, un verso specifico che invita gli altri a prendere il volo: un “cracracrac!” che suona come un nostro “vieni, bisogna andarsene!”. Roa, per invogliare la sua compagna a seguirlo, usa l’ereditario “cracracrac” della specie; invece, quando desidera convincere Lorenz di abbandonare un luogo che giudica pericoloso, inizia a volare a bassa quota sopra la testa dell’amico poi, dopo aver agitato la coda, s’innalza nell’aria con un vibrante “Roa, Roa, Roa!” Al grido innato della sua razza sostituisce il suono che l’uomo usa solitamente per chiamarlo e che, secondo lui, corrisponde al verso di richiamo degli umani. In pratica, si cala nella lingua degli uomini per farsi capire da Konrad. L’etologo conclude il capitolo in questi termini: “Quindi, mentre Salomone non è stato l’unico uomo capace di parlare con gli animali, Roa è a tutt’oggi l’unico animale che abbia rivolto all’uomo una parola umana usata in modo pertinente allo scopo, anche se si trattava soltanto di un semplice verso di richiamo.”        Continua…

Joëlle

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