Torvo…il corvo? Parte 1
RICORDI D’INFANZIA
“Corvo”, nome che svolazza sopra le lontane sponde della mia infanzia. “Corvo”, uccello enigmatico che suscitava in me, un sentimento contrastante.
Mano nella mano, andavo con la nonna per il sentiero declive armata di un secchiello, una paletta e un rastrellino. Prima di raggiungere la spiaggetta di Port-jaune, camminavamo lungo il cimitero marino che si affaccia sulla baia di Douarnenez. Lì, c’erano i corvi. Avevano eletto domicilio nei pini che torreggiavano al margine del camposanto. Il loro verso rauco e minaccioso copriva gli striduli lamentosi dei gabbiani. M’impressionavano le lunghe ali nere distese in volo e i robusti becchi spalancati che lasciavano uscire un grido inquietante. Quando si muovevano a terra, però, non mi incutevano più paura in quanto assumevano il deambulare saltellante e leggero di un passerotto.
Al cinema, La bella addormentata nel bosco mi propinò Diablo i cui occhi perfidi e inquisitori di spia mi fecero rabbrividire. Il “diletto” della malvagia Malefica era senza cuore e volto al male, così temetti per l’ingenua principessa Aurora, ignara del pericolo in cui incorreva.
A scuola, il favolista Jean de La Fontaine mi rassicurò, dipingendomi il corvo come un uccello pieno di sé alla mercé del primo adulatore. Attraverso la favola, il gelido e implacabile personaggio del cartone animato di Walt Disney si tramutava in un soggetto sciocco e vanesio, pronto a cascare nel tranello grossolano di un furbo incensatore.
Nata da un racconto orientale molto antico, la favola Il corvo e la volpe si lancia a rimbalzello sulla superficie del tempo; dal sesto secolo avanti Cristo narrata in greco da Esopo salta al primo secolo dopo Cristo redatta in latino da Fedro per atterrare infine nel Seicento sotto la penna poetica di La Fontaine.
L’insegnamento della storiella appare chiaro: conviene guardare con occhio vigile quelli che ci lodano in modo entusiastico. Potrebbero non essere sinceri e usare i complimenti allo scopo di assopire il nostro senso critico per ottenere da noi cose che non avevamo l’intenzione di cedere. Il ragionamento fila, la lezione è limpida però nessun ci vieta di estrarre, in seconda battuta, un altro monito nascosto fra le pieghe: “Chi la fa, l’aspetti”. Di tutta evidenza, il corvo ha rubato il formaggio, non essendo in grado né di fabbricarlo, né di comprarlo. Dunque, se a sua volta la volpe gli sottrae il gustoso cacio, gli fa subire il danno che lui stesso ha arrecato. In altre parole: “Chi di spada ferisce, di spada perisce”. Continua…