Primo libro di Samuele

La Bibbia è una biblioteca tascabile. A sinistra, i suoi scaffali sono occupati da 47 volumi registrati sotto l’appellativo “Antico Testamento”. Sugli scaffali di destra trovano posto 27 libri più recenti, detti del “Nuovo Testamento”. In tutto, 74 opere scritte da decine di autori nell’arco di una decina di secoli. I due Libri di Samuele sono disposti a sinistra, fra i 16 Libri storici. Dal primo volume Giosuè al sedicesimo Secondo Libro dei Maccabei, attraversiamo più di un millennio fra Storia e storie del popolo d’Israele. Partiamo dal XIII sec. a. C. quando, alla morte di Mosè, Giosuè lascia il deserto ed entra in Palestina alla guida del suo popolo; arriviamo alla fase conclusiva dell’epopea dei Maccabei nel 134 a. C., con l’ascesa al trono di Giovanni Ircano. I fatti narrati nei due Libri di Samuele si inseriscono in un periodo storico compreso più o meno tra il 1050 e il 970 a. C.

Il Primo libro di Samuele, diviso in 31 capitoli, racconta le vicende di Samuele e di Saul. Inizia con la nascita di Samuele e si conclude con la morte di Saul. Samuele -“Il suo nome è Dio”- è il primo grande profeta. Volge la sua vita al servizio di Dio, eseguendo scrupolosamente gli ordini impartiti. È un mediatore fra Dio e il popolo eletto. Predica fede e obbedienza a Dio; mette in guardia Saul quando non osserva gli ordini divini. Saul è il primo monarca d’Israele. Il suo nome significa “Richiesto”. Dio l’ha scelto per esaudire il desiderio degli ebrei che chiedevano un re, che volevano stare sotto il comando di un capo unico. Al capitolo 8, versetto 20, essi manifestano con forza il loro desiderio: Vogliamo essere alla pari di tutte le altre nazioni; con un re che ci governi, che si metta alla nostra testa e si batta per le nostre battaglie. Così, Dio ha guidato Saul verso Samuele. Il profeta l’ha unto, consacrandolo re e investendolo della missione di liberare il popolo d’Israele “dal potere dei nemici circonvicini”, come è scritto al versetto 1 del capitolo 10. Al capitolo 11, Saul muove la sua prima battaglia e la vince. Poi, a Galgal festeggia con tutti, l’inizio del suo regno.

Il capitolo 15 si apre sulla vittoria conseguita dal re ebreo sugli Amaleciti. Si sofferma sulle cause dell’inversione di marcia di Dio, nei riguardi di Saul. Proviamo a tracciare a grandi linee, il racconto: Dio ordina a Saul di sterminare tutti gli Amaleciti e tutte le loro bestie. Il re raduna allora il suo esercito. Prima dell’attacco, avverte i Keniti perché fuggano e si mettano in salvo. Vince la guerra; fa prigioniere Agag, il re degli Amaleciti e stermina il suo popolo e il suo bestiame, risparmiando soltanto gli animali migliori. Dio si cruccia di non essere stato obbedito alla lettera e spodesta Saul. Nel capitolo 15, la violenza è terribile.

Si legge, al versetto 3, Dio parla a Saul per mezzo del profeta Samuele: “Or dunque va’ e percuoti Amalec e metti all’interdetto tutto ciò che è suo, senza remissione, uccidendo uomini e donne, fanciulli e bambini, bovi e pecore, cammelli e asini.” Al versetto 33, Samuele dice ad Agag, il re degli Amaleciti: “Come la tua spada ha tolto i figli a tante donne, così senza figli rimarrà fra le donne la tua madre.” E lo fece a pezzi davanti al Signore in Galgal. Al versetto 33, Samuele ammazza un uomo in modo cruento ma si tratta comunque del capo militare dell’esercito nemico. Certo, l’esecuzione è sommaria ma la crudeltà colpisce una sola persona; non è paragonabile alla crudeltà dilagante di Saul e dei suoi uomini che passano “a fil di spada” tutti gli Amaleciti, donne e bambini compresi. Pure di conformarsi alla volontà divina, enunciata al versetto 3, il re ha perpetrato un genocidio. Il suo crimine fa rabbrividire: trucidare un’intera popolazione per soddisfare un’oscura vendetta. Eliminare tutti i discendenti del popolo di Amalec perché, secoli prima, i loro antenati hanno tentato con la forza, di impedire l’entrata in Palestina, agli ebrei.  Vediamo che Saul, prima di attaccare, come per marcare un acuto senso della giustizia, informa i Keniti della battaglia imminente affine di evitare la loro uccisione involontaria durante lo scontro. Non li vuole coinvolgere nel conflitto perché i loro avi hanno favorito l’entrata in Palestina degli ebrei.

Notiamo che il re si scosta dal comandamento divino su due punti: la non uccisione di Agag e la non uccisione di una parte del bestiame. Comunque, se consideriamo il bilancio finale della guerra contro gli Amaleciti, il compito assegnato si è svolto fino in fondo: il popolo di Amalec, il suo capo Agag e tutto il suo bestiame sono stati annientati. Agag, in un primo momento risparmiato da Saul, è poi ammazzato da Samuele. Gli animali più grassi salvati dall’ecatombe iniziale, sono destinati all’olocausto, dunque a morire. Dio dovrebbe ritenersi pienamente soddisfatto; invece, no! Per quale motivo, decide di spodestare Saul? Perché se la prende così tanto con lui e si pente di averlo scelto come re degli ebrei?

Pretendeva un’obbedienza a puntino e l’episodio del sacrificio non rientrava nei suoi piani. Saul ha disobbedito. Come sottolinea Samuele al versetto 22: Ecco, l’ubbidire val più del sacrificio, e il dare ascolto, più del grasso dei montoni. Come una mannaia, la punizione divina si abbatte al versetto 23: Poiché tu hai respinto la parola del Signore, Egli respinge te perché tu non sia più re. Il verdetto è senza appello e siccome Saul non si vuole rassegnare, Dio tramite il profeta Samuele, ribadisce il concetto. Una prima volta, al versetto 26: Tu hai respinto la parola del Signore e il Signore ha respinto te, affinché tu non sia più re sopra Israele. Una seconda volta, in cui aggiunge la ciliegina sulla torta: cioè fa sapere che ha già provveduto a sostituirlo. Lo comunica con chiarezza al versetto 28: Il Signore oggi ha strappato da te il regno d’Israele e lo ha dato a un tuo prossimo migliore di te. Difatti al capitolo seguente, capitolo 16, Dio guida Samuele a Betleem dove unge il nuovo capo d’Israele, all’insaputa di Saul. É un pastorello, il figlio più giovane di Isai, chiamato David – “Diletto”. La cerimonia dell’unzione sigilla la scelta di Dio, è una manifestazione del favore divino. In precedenza, Samuele ha unto Saul e ora unge David. Stessa modalità? No, c’è una differenza. Nel primo caso, Saul si è spostato dalla sua città natale verso la città dove viveva Samuele per incontrarlo mentre nel secondo, David riceve la visita del profeta direttamente a casa sua. Dunque, al capitolo 15, Saul è spodestato nel luogo dove si sono svolti i festeggiamenti inaugurativi del suo regno: Galgal. Dio ha pigiato il tasto RESET; cancellato il nome del re. Si riparte da zero. Rimaniamo sconcertati: alla fine dei conti, Saul è stato deposto solo per aver voluto onorare il Signore con dei sacrifici animali, quando non ne aveva ricevuto il consenso preliminare. La punizione divina pare sproporzionata.

Ci sfugge qualcosa? Forse il testo biblico nasconde un elemento più rilevante nelle sue pieghe. Quale atteggiamento di Saul ha provocato la delusione del Signore? Leggiamo, al versetto 15, come il re giustifica il fatto di aver risparmiato alcuni animali dal massacro: Il popolo ha voluto risparmiare il meglio delle pecore e dei bovi per farne sacrificio al Signore, Iddio tuo. Al versetto 17, Samuele indirizza a Saul una accusa, sotto forma di domanda: Per quanto piccolo tu sia agli occhi tuoi, non sei tu capo delle tribù di Israele? In linguaggio spicciolo: “Sei un suddito o un monarca? Ti comporti come se non fossi diventato il re degli ebrei scelto da Dio ma fossi ancora in mezzo alla più umile famiglia di Beniamino, la più piccola tribù d’Israele dove sei nato. Al versetto 24, Saul è costretto a confessare la sua debolezza a Samuele: Ho peccato, ho trasgredito l’ordine del Signore e le tue parole, perché ho avuto timore del popolo, ed ho accondisceso alla sua voce.

Questi tre versetti sembrano contenere le ragioni profonde che inducono Dio a rimuovere Saul dall’incarico che gli aveva affidato. Un re che teme il suo popolo, non ha la stoffa di un leader, non è degno di essere una guida. Dio si pente di aver legittimato un monarca fantoccio. Saul si è lasciato sopraffare dalle tribù d’Israele; è stato trascinato dal volere popolare e non ha rispettato la volontà divina. Nella sua testa, la voce del popolo sovrasta la voce di Dio. Ha temuto il suo popolo invece di temere Dio. Ha dato retta agli ebrei; non al Signore. La sua preoccupazione maggiore è di piacere al suo popolo, di accontentarlo. Non ha molta fede nel Signore, lo adora in modo superficiale. Per lui la cosa fondamentale è essere onorato dal popolo d’Israele. Si comporta in modo poco dignitoso, non ha l’autorità di un capo. Pur di non perdere il suo titolo, mendica il perdono di Samuele, cerca di trattenerlo e senza ritegno, lo supplica di non abbandonarlo. Così si comporta al versetto 27: Quindi Samuele si voltò per andarsene, e Saul lo prese per il lembo del mantello, che si strappò.Così si esprime, al versetto 30: “Ho peccato! Ma ti prego, rendimi onore davanti agli anziani del mio popolo e davanti a Israele. Ritorna con me, mi prostrerò al Signore, Iddio tuo.”

Quando Saul ha risparmiato le bestie più grasse, non ha disobbedito all’ordine divino per convinzione personale. A scatenare il risentimento di Dio nei suoi confronti, è stato più la sua palese sottomissione al volere popolare che la sua disobbedienza. Dio non accetta che il popolo imponga decisioni, che possa avere la minima autorità sul sovrano. I ruoli non vanno invertiti: la funzione di Saul è di guidare gli ebrei, non di essere guidato da loro. Saul va rimosso perché non ha autorevolezza, non è carismatico. Il capitolo mette in luce il motivo della non uccisione “a fil di spada” del bestiame migliore ma tiene sotto silenzio le ragioni della non uccisione del re nemico. Caso strano, nessun elemento ci spiega perché Saul risparmia Agag. Appare come una scelta autonoma dal motivo imprecisato. Dio non accenna nemmeno un rimprovero all’indirizzo di Saul; Samuele s’incarica con naturalezza di eliminare l’unico sopravvissuto degli Amaleciti. Però, il fatto è singolare: Saul ha disobbedito lasciando in vita il capo militare del nemico e non ha avuto alcuna esitazione a seguire le istruzioni spietate di Dio, a trucidare donne e bambini inermi!

Più che “Popolo del Libro”, gli ebrei potrebbero essere definiti “Popolo dell’interpretazione del Libro”. Quando il Talmud afferma: “Il testo non va toccato a mani nude” significa che l’ascolto della Bibbia richiede un orecchio preparato, un’intelligenza aguzza. Ascoltare la Scrittura, non è accettarla ma è commentarla. Davanti allo scoglio di una lettura letterale della Bibbia, riduttiva e pericolosa, il midrash, cioè la conclusione scritta di un‘indagine sui testi sacri, viene in aiuto. Al capitolo 15 del Primo Libro di Samuele, il midrash aiuta a uscire dal vicolo cieco costituito dalla terribile ingiunzione alla violenza da parte di Dio. L’ordine di cancellare Amalec figura in due libri della Torah, al capitolo 17 dell’ Esodo e al capitolo 25 del Deuteronomio. Es 17, 14: E il Signore disse a Mosè: “Scrivi questo, per ricordo, nel libro e fai ben comprendere a Giosuè che İo cancellerò affatto la memoria di Amalec di sotto al cielo”. Dt 25, 17: Ricordati di quello che ti fece Amalec, durante il viaggio, dopo essere usciti dall’Egitto, Dt 25, 18 come egli ti assalì nel cammino e percosse nella retroguardia tutte le persone deboli che erano dietro a te, e tu eri stanco e spossato, e non temette Iddio. Dt  25, 19 E perciò quando il Signore Iddio tuo ti avrà data requie da tutti i tuoi nemici che ti stanno all’intorno nella terra che il Signore, Iddio tuo, sta per darti in eredità per possederla, spengi il ricordo di Amalec di sotto al cielo: non te ne dimenticare.

La Torah rimane nel vago e nel nebuloso: ricordarsi di cancellare il ricordo e non dimenticarsi di ricordare. Quale è l’ordine? Vendetta sanguinaria o vigilanza accesa nei confronti della discendenza di Amalec?  Una cosa è certa: La Torah non richiede di ammazzare donne e bambini; non si parla neppure di animali. La Legge non esplicita una soppressione totale della popolazione e dei suoi beni.  Invece nel Primo Libro di Samuele, l’ingiunzione divina non lascia spazio all’equivoco: nessun discendente di Amalec deve scampare al massacro. Quindi l’irrompere della violenza è inevitabile? Forse no, perché l’uomo non è lo schiavo di Dio e può mettere in discussione un comandamento troppo violento. L’hanno fatto Abrahamo e Mosè.

Nella Genesi, capitolo 18, Abrahamo intercede presso il Signore per salvare gli abitanti di Sodoma. Si comporta da avvocato difensore della città. Dio ascolta la sua arringa e ne tiene conto; non lo castiga per l’irriverenza di aver contrastato una sua decisione. Nel Deuteronomio, capitolo 2, Mosè disobbedisce a Dio. All’esortazione divina di attaccare senza preavviso Sihon, il re di Esebon, Mosè oppone una trattativa diplomatica mandando ambasciatori di pace allo scopo di evitare la battaglia. Eppure Dio non lo punisce per la sua disobbedienza.

A questo punto, il midrash dinamizza il testo sacro proponendo un’esegesi creatrice a favore della non violenza. E se la colpa di Saul fosse di non aver messo in discussione l’ordine di sterminio, di non aver avuto il coraggio di resistere a un’ingiunzione divina alla maniera di Abrahamo e Mosè? Amalec è morto e sepolto da secoli; l’attacco contro il suo popolo non corrisponde a un atto di legittima difesa ma s’iscrive nel quadro dubbioso di una guerra preventiva contro un nemico presunto. Saul aveva il dovere di trasgredire. I figli non sono responsabili dei crimini dei loro genitori. L’affermazione del rabbino Rivone Krygier ci lascia di stucco: alcuni discendenti di capi nazisti si sono convertiti all’ebraismo e vivono oggi in Israele.

 

                                                                                   Joëlle

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