Dal ciottolo allo sciopero: la Grève de Paris

Rintracciare il percorso di un vocabolo attraverso i secoli può condurre alla scoperta di eventi curiosi e spalancare finestre di approfondimento e di riflessione. Avevo aperto il mio Dictionnaire historique de la langue française alla pagina “Grève”; cercavo informazioni su questa parola francese che definisce una spiaggia di sabbia grossa, la riva ciottolosa del mare o di un corso d’acqua ma anche l’atto di scioperare. Non sospettavo un legame tra due significati così lontani l’uno dall’altro: in effetti, che cosa c’entra la riva con lo sciopero? Apparentemente c’entrava come i cavoli a merenda. Dunque, mi aspettavo origini distinte e pensavo di scovare due antenati diversi. Sono rimasta a bocca aperta nel constatare che, fuori da ogni logica, fra riva e sciopero esiste una stretta parentela.

Ambedue i significati sono ancorati al latino volgare “Grava” ossia “Ghiaia”. Secondo alcuni “Grava” avrebbe parenti celtici o addirittura remoti avi indoeuropei legati alla radice ˚gʷer “pesante”… Comunque stiano le cose, il nome “Grève, a un certo punto del suo cammino, subisce uno sdoppiamento: la sponda sassosa del fiume partorisce una protesta organizzata e collettiva, lo sciopero. Come è avvenuto?

Per capirlo, ci rechiamo a Lutèce … o piuttosto a Parigi perché nel IV sec. d.C., la “Lutetia Parisiorum” dei Romani ha già abbreviato il suo patronimico in “Paris”.

Eccoci dunque a Parigi. Ora, con una mossa all’indietro nel tempo, ci proiettiamo nel XII secolo: da sei secoli l’urbs dei Parisii non ha più nulla da spartire con l’Orco romano. Allorché il V secolo mansueto l’ha lodata quando Clovis (466 – 511) ossia Clodoveo l’ha innalzata a capitale, il IX secolo poco benevole le ha fatto pagare un amaro tributo: è stata terrorizzata e sfiancata da quattro invasioni vichinghe; ha patito i saccheggi da uomini venuti dal Nord, cioè dai Normanni (Svedesi, Norvegesi, Danesi).

La dea Sequana: la Senna   III sec. d. C. Museo archeologico di Digione (Francia)

Fortunatamente, il dodicesimo secolo segna per lei un periodo di ripresa. Non è ancora la capitale dei Capetingi, tuttavia il sesto re della dinastia, Luigi VII detto il Giovane (1120 – 1180), la conferma come sede della Corte e della Cancelleria reiterando la scelta amministrativa precedentemente compiuta da suo padre Luigi VI detto il Grosso (1081 – 1137). Diventa presto uno dei fulcri del commercio di grano, di pesce e di stoffe. Sono tempi in cui il pullulare di predoni e tagliagole sulle strade induce i mercanti a preferire le vie fluviali, assai più sicure di quelle terrestre. La Seine, ossia la Senna, che serpeggia dalla Borgogna fino alla Manica, rappresenta un ottimo nastro trasportatore. Gli attivi commercianti parigini si sono uniti per formare la “Hanse des marchands de l’eau”, un’associazione mercantile.



Prima di proseguire, sfatiamo subito un luogo comune: è sbagliato considerare quest’associazione come discendente diretta dell’antica comunità dei battellieri della Senna, i cosiddetti “Nauti”, formatasi durante il regno del secondo imperatore romano Tiberio (42 a.C. – 37). No, la “Hansa dei mercanti dell’acqua” ha origini medievali che risalgono presumibilmente al decimo secolo.

Sediamoci un attimo in riva alla Senna a considerare tre aspetti che distinguono i “Nautes” dai “Marchands de l’eau” e permettono di affermare che la Hansa di Parigi non intrattiene un legame di figliazione con i Nauti gallo-romani.

Appartenere alla corporazione dei Nauti non era frutto di una scelta personale ma di un’imposizione; oltre a durare tutta la vita, l’incarico era pure ereditario.  Entrare a fare parte della Hansa, invece, è un atto volontario e non definitivo. Poi, i Nauti erano esclusivamente battellieri allorché i membri della Hansa non veicolano le mercanzie sul fiume ma esercitano svariati mestieri come quello di pellettiere, tappezziere, falegname, pescivendolo… Difatti, l’oggetto delle rispettive corporazioni è ben diverso: i Nauti erano dei trasportatori fluviali mentre i Mercanti dell’acqua ricoprono il ruolo di Polizia della Senna assicurando la sorveglianza del traffico sulla strada liquida che si stende fra il ponte di Mantes, città situata a 57 km da Parigi e confinante con il ducato di Normandia, a valle, e l’ultimo ponte di Parigi, a monte.

In tedesco antico “Hansa” significa “raggruppamento, schiera” e indica un insieme di individui uniti da un obiettivo comune. Originariamente, la parola definì il forte sodalizio dei mercanti tedeschi all’estero; in seguito, fu usata per denominare la lega tra le città del Mare del Nord e del Baltico che si erano associate con fini di reciproca protezione e di comune sviluppo economico.

Sigillo dei Mercanti dell’acqua di Parigi (1220)

I “Parisienses aque mercatores”(Mercanti parigini dell’acqua) - chiamati anche “Borghesi parigini” (da borgo, col significato di “originari della città”) - si uniscono per controllare il trasporto delle merci sui battelli e per garantire l’afflusso di derrate e materie prime a Parigi. Già nel 1121, Luigi VI concede loro il privilegio d’intascare il denaro che egli stesso riscuoteva su ogni carico di vino. La riscossione non è eseguita a titolo individuale visto che la corporazione è intesa come un essere collettivo: i soldi delle tasse sono proventi destinati all’associazione dei mercanti. Nel 1170, la Charte di Luigi VII stabilisce ufficialmente i diritti della Polizia dell’acqua. Da notare che i membri parigini della Hansa non sono quasi mai proprietari di imbarcazioni; tutti, invece, sono proprietari di mercanzie e ognuno può usare liberamente la Senna per spedire le merci oppure riceverle. Ben diversa si configura la situazione del forestiero, detto “Forain”: quando fa transitare la sua mercanzia nella zona compresa tra Parigi e il ponte di Mantes; non solo deve essere iscritto alla Hansa ma gli tocca farsi accompagnare da un socio parigino (Mercante dell’acqua) che gli costa metà dei suoi benefici. E guai a trasgredire perché la sanzione è pesante: confiscazione dell’intero carico!

Ora non allarghiamo ulteriormente la nostra indagine perché rischiamo di perdere di vista la parola “Grève”che ci siamo prefissati di esaminare. Nel 1141, i mercanti hansati acquistano a titolo oneroso un terreno declive inabitato, collocato sulla riva destra della Senna e dove era consuetudine allestire bancarelle. Presto mutano la parte bassa in porto per ricevere le merci giunte dal fiume; adibiscono la parte alta a piazza, appioppandole il nome piuttosto scontato e assai banale di Place de Grève (ossia Piazza della riva ciottolosa) considerato la sua ubicazione sul greto del fiume. E dunque? Dove sta il nesso con lo sciopero? Calmi… un attimo di pazienza! Ci arriviamo a gradi.

La Place de Grève è stato teatro di tante vicende, da quelle festose a quelle agghiaccianti. Oggi la troviamo ingrandita e sotto un nome leggiadro. Dal 1803 si chiama Place de l’Hôtel de Ville, Piazza del Comune in italiano. Dire “Place de la Mairie” sarebbe lo stesso, ma “Place de l’Hôtel de Ville” è grandiloquente e suona più raffinato. E sì, noblesse oblige… Cosa volete, Paris ha il naso all’insù! In ogni modo, “il sindaco” rimane “le maire”: non cambia appellativo, che eserciti la sua funzione a Parigi o in altre città francesi. Comunque, la nuova dicitura “Place de l’Hôtel de Ville” rende conto della posizione della piazza: sta dinanzi al palazzo del municipio di Parigi, un maestoso edificio in stile neorinascimentale le cui facciate s’inorgogliscono di statue in pietra che rappresentano personaggi di spicco legati alla città come Richelieu, Molière, Marivaux, Voltaire, D’Alembert, Lavoisier, Madame de Staël, George Sand…

Maison aux Piliers

Ma prestiamo orecchio: dalle sue fondazioni filtra la voce dei Mercanti dell’acqua. Difatti, nel XIV secolo, il posto dove si erige l’odierno municipio era occupato da un’abitazione a due piani sopra una galleria di portici, la Maison aux Piliers (Casa dei Pilastri) che Etienne Marcel aveva comprato nel 1357 a nome della Hansa. Ma chi era costui? Figlio di una ricca famiglia di mercanti di stoffe, era stato eletto nel 1354 Prévôt des marchands, ossia capo della Hansa. Prendiamo atto che nel corso del XIII secolo, l’associazione mercantile aveva rinforzato la sua influenza e acquisito un notevole potere nel cuore della città: nel 1246 il nono re dei Capetingi Luigi IX detto San Luigi (1214 – 1270) aveva ufficialmente assegnato alla corporazione il compito di gestire gli affari legati al traffico delle mercanzie. In sostanza, Etienne Marcel assumeva un ruolo politico giacché rappresentava la borghesia e controllava, affiancato da 4 “Échevin” e 24 “Prud’homme” scelti tra i borghesi importanti, il buon funzionamento della municipalità. Nel 1358 fomentò l’insurrezione dei borghesi e del popolo contro l’autorità reale … ma non andiamo oltre; questa è una storia densa di avvenimenti che non intendiamo sviluppare perché abbiamo uno scopo preciso da raggiungere che esclude ulteriori digressioni.  Diciamo solo che il Prevosto dei mercanti (Prévôt des marchands) fungeva da sindaco. In quanto diventò, dopo essere entrata a fare parte dei beni della corporazione, sede dell’amministrazione cittadina, possiamo considerare la Casa dei Pilastri come l’anima dell’ “Hôtel de Ville”. Con il passare del tempo, il corpo del Municipio si trasformò. Nel XVI secolo il re Francesco I (1494 – 1547) affidò la sostituzione della Casa dei Pilastri, ormai vetusta e pericolante, all’architetto italiano Domenico Bernabei (1470 circa – 1549) soprannominato Le Boccador che intraprese nel 1532 l’edificazione del primo palazzo in stile rinascimentale della capitale. Benché avesse diretto i lavori fine alla morte, Bernabei non ebbe la soddisfazione di apprezzare il Municipio nella sua interezza poiché fu ultimato solo nel 1628.

Incendio dell’ Hôtel de Ville Theodor Hoffbauer

Mentre la prima metà del XIX secolo assistette a una vistosa crescita dell’edificio, la seconda metà fu testimone della sua rovina: durante la “Semaine sanglante” (Settimana di sangue della Comune) di maggio 1871, i comunardi lo incendiarono. Bruciò per otto giorni. I pompieri non riuscirono a domare le fiamme che si portarono via tutto, eccetto una parte dei muri esterni: del Municipio non rimase che un guscio vuoto carbonizzato. Nel 1873 gli architetti Théodore Ballu e Édouard Deperthes si lanciarono nella ricostruzione impegnandosi a conservare lo stile rinascimentale delle facciate; furono necessari ben dieci anni per venire a capo dell’impresa.

Dopo aver scandito alcune tappe della costruzione dell’Hôtel de Ville, puntiamo adesso l’attenzione sulle attività che si svolgevano nella piazza adiacente, l’odierna Place de L’Hôtel de Ville - ribattezzata “Esplanade de la Libération” nel 2013 - già Place de Grève. Quanti eventi su questa sponda del fiume parigino! Quante storie avrebbe da raccontarci questa piazza!

La nostra perlustrazione ha messo in luce il fatto che nel Basso Medioevo, il porto della Grève divenne il porto più importante di Parigi. Insediatosi nel XII secolo sulla riva destra della Senna, oscurò l’antico porto Saint Landry installato di fronte, sul greto dell’ Île de la Cité cioè per capirsi, dell’isola che ospita la Cattedrale di Notre-Dame. Nel Settecento era ancora un centro chiave di approvvigionamento della città come lo documenta questa frase tratta dall’Enciclopedia Metodica del 1791: “È lì che arrivano le barche cariche di fieno, grano, farina, avena, orzo, vino, calce e carbone da legna e dove si realizzano le vendite” … La piazza ricevette merci in abbondanza fino a quando nell’Ottocento il barone Haussmann (1809 – 1891) decise di quadruplicare la sua superficie e di costruire un argine che la staccò completamente dal fiume: così, nel XIX secolo, la Place de Grève orientata per secoli verso la Senna, si volse in modo univoco verso l’Hôtel de Ville.

Hôtel de Ville del Boccador Place de la Grève  Theodor Hoffbauer 

Questo spazio libero, ubicato nell’attuale IV arrondissement di Parigi, è stato attraversato da mercanti e da aristocratici, da carrozze e da carrette; ha portato nel suo centro temibili forche di legno mentre più in là verso la Senna, ha sfoggiato una lunga croce cristiana su un basamento di pietra; ha ospitato folle allegre e spettatori avidi di torture; ha accolto rivoluzionari e operai. Nel corso dei secoli ha avuto il tempo di scandagliare i comportamenti umani. Conosce l’uso che l’uomo fa del fuoco, la sua eccitazione davanti al sangue, le sue grida di gioia e le sue urla di sofferenza.

Sa la potenza delle fiamme che, il 20 giugno 1242, hanno inghiottito ventiquattro carrettate di trattati talmudici e manoscritti ebraici su ordine di San Luigi. Ha recepito con benevolenza l’euforia annuale del popolo radunato attorno al monumentale Falò di San Giovanni, annunziatore dell’estate. Ha capito il fervido applauso dei parigini davanti all’effimera scenografia pirotecnica allestita in occasione della nascita di Louis Dieudonné (Luigi Deodato: perché considerato una grazia del Cielo dopo 23 anni di matrimonio tra Luigi XIII e Anna d’Austria), il futuro Luigi XIV, nel settembre 1638. I fuochi d’artificio, a dirla tutta, le procurano sempre una doppia contentezza: le piace osservare la gente unita nella condivisione di un momento ludico e constatare l’impiego della polvere da sparo in contesti non bellici. Per contro, ha deplorato il primo rogo, quello della mistica Marguerite Porette nel 1310, e compianto i successivi eretici arsi vivi. Ha perso il conto degli impiccati appesi alle sue forche. Ha tremato sotto il sangue e i lamenti strazianti dei suppliziati. Ancora oggi prova ribrezzo a rammentarsi le orrende torture inflitte a François Ravaillac, l’assassino di Enrico IV, il 27 maggio 1610; la morte del bandito Louis Dominique Cartouche a forza di colpi di spranghe nel 1721; i sadici accanimenti sul corpo di Robert François Damiens, attentatore del re Luigi XV, il 28 marzo 1757. Non vorrebbe essere ricordata per così mortifera attività ma, ahimè, la sua lugubre fama ha varcato le frontiere. In una lettera del 4 marzo 1764, Leopold Mozart (padre di Wolfgang Amadeus) scrive all’amico Johann Lorenz Hagenauer: “La piazza di Grève è il luogo dove i criminali sono spediti nell’altro mondo. Chi è ghiotto di esecuzioni capitali ha qualcosa da vedere quasi ogni giorno. Recentemente una domestica, un cuoco e un cocchiere sono stati impiccati insieme fianco a fianco. Erano al servizio di una ricca vedova cieca a chi avevano sottratto 30 000 Louis d’or.

Il 25 aprile 1792, giorno dell’inaugurazione del “Rasoio nazionale”, la piazza ha visto rotolare nel cesto la testa di Nicolas Jacques Pelletier, borseggiatore e accoltellatore di un passante. Quel giorno è rimasta molto perplessa di fronte all’invettiva della folla contro il boia, tenuto responsabile della scarsa godibilità di uno spettacolo lampo. Ha stimato che fra tutti i mali, la “ghigliottina” era il male minore giacché accorciava la sofferenza e metteva tutti i condannati a morte “sur un pied d’égalité” cioè allo stesso livello. Finallora il tariffario in vigore prevedeva il rogo per ridurre in cenere eretici, streghe varie e avvelenatrici; la corda per strangolare i delinquenti di basso rango, la sciabola per decapitare gli aristocratici, l’impiego di quattro cavalli per squartare i regicidi. Senza dimenticare la ruota che esponeva la lenta agonia di banditi maciullati o l’acqua bollente che puniva i falsari.

L’uso della “guillotine” ha marcato una svolta nell’applicazione della pena capitale; ha segnato l’era di una “morte uguale per tutti”. Lo strumento porta il nome di colui il quale lo ha promosso affinché diventasse l’unico mezzo di uccisione: il medico e deputato del Terzo Stato, Joseph-Ignace Guillotin (1738 – 1814). Già nel suo discorso preliminare del 10 ottobre 1789 all’Assemblea nazionale costituente, il deputato sostiene l’impellenza di una modificazione del diritto penale a proposito della pena di morte:

“… Poiché si tratta di esaminare il progetto di riforma della procedura criminale, parliamo anche del modo di eseguire la sentenza capitale. Quando un colpevole merita la morte, bisogna dargliela. Ma il fine non giustifica qualsiasi mezzo. Non sarebbe possibile rendere il castigo meno orrendo? Evitare questi supplizi degni del Medioevo? Perché non sopprimere una volta per tutte la forca, la ruota, la gogna e lo squartamento che uccidono a fuoco lento per far durare a lungo il dolore? Un assassino, un traditore o un disertore è comunque un uomo e merita pertanto alcuni riguardi. Ciò che occorrerebbe è una macchina come ne esiste già in Italia che, con un colpo di lama, taglia netto e senza sofferenza.”

La riforma del Codice penale non si realizza dall’oggi al domani. I dibattiti si susseguono numerosi. Tra il 25 settembre e il 6 ottobre 1791, dopo aver respinto la proposta di alcuni deputati di abolire la pena di morte (nel gruppo degli abolizionisti figura Robespierre…), l’Assemblea nazionale stabilisce che la pena capitale consiste solo nella privazione della vita e non ammette torture (Articolo 2). Precisa poi, che per ogni condannato alla pena capitale, la morte avverrà tramite il taglio della testa (Articolo 3).

Des peines en général, article 2 : La peine de mort consistera dans la simple privation de la vie, sans qu’il puisse jamais être exercé aucune torture envers les condamnés.

Des peines en général, article 3 :  Tout condamné à mort aura la tête tranchée.

Due anni dopo il suo primo intervento di ottobre 1789, Guillotin ha la soddisfazione di vedere infine esaudita la sua richiesta. Nell’autunno 1791 l’Assemblea giunge alla decisione che, al di là delle differenze di estrazione sociale dei colpevoli e della tipologia dei delitti commessi, tutti i condannati a morte avranno il capo smozzato. Tuttavia, il modo di recidere la testa rimane imprecisato. Così il boia Charles-Henri Sanson, esecutore della giustizia e desideroso di rispettare le nuove disposizioni, chiede al Comitato di legislazione un mezzo appropriato che “evita le lunghezze e fissa la certezza”. Il dottore Antoine Louis (1723 – 1792) riceve l’incarico di concepire uno strumento per la decollazione; costui è un medico legale apprezzato, un esperto presso i tribunali e il segretario dell’Accademia di chirurgia. Non è affatto uno sprovveduto: le sue competenze nel campo della chirurgia militare gli hanno permesso di redigere articoli per l’Enciclopédie di Diderot e D’Alembert. Per assolvere il compito che gli è stato assegnato dall’Assemblea, Antoine Louis trae ispirazione alla “Mannaia” italiana del Seicento e alla “Maiden” inglese dei XVI e XVII secoli. La Mannaia è descritta nel libro Chroniques de Louis XII (Cronache di Luigi XII) redatto dal monaco Jean d’Authon, storiografo di Luigi XII. In effetti, il 13 maggio 1507, il cronista francese di passaggio a Genova, aveva assistito alla decapitazione del cospiratore Demetrio Giustiniano per mezzo di una macchina che sembra una sorellastra della ghigliottina… Antoine Louis, modificando i modelli italiani e inglesi, giunge a un congegno più efficace; poi affida la realizzazione del prototipo a Tobias Schmidt un artigiano tedesco dalle mani esperte, residente a Parigi e fabbricante di clavicembali. Quando, a fine marzo 1792, il medico presenta la sua invenzione all’Assemblea, la tagliatrice di teste è subito adottata. Dopo alcune prove effettuate all’inizio di aprile 1792 su delle pecore e dei cadaveri, la “mécanique sépulcrale”(meccanica sepolcrale) come la chiamerà Chateaubriand (1768 – 1848) è pronta ad abbattersi sulle cervicali dei condannati. A tutto questo, Guillotin non ha preso minimamente parte, anzi si è sempre rifiutato di assistere alle esecuzioni capitali; eppure, a suo immenso dispiacere, il suo cognome è servito a battezzare la micidiale macchina. Tutta colpa di alcuni versi apparsi in un giornale satirico. La parola “Ghigliottina” nasce a dicembre 1789 quando L’Acte des Apôtres pubblica una canzone che deride la proposta di Guillotin. Per fare rima con “machine”, l’autore (le chevalier de Champcenetz) femminizza il cognome del deputato, vale a dire: trasforma con malizia Guillotin in “Guillotine”.

“Et sa main             E la sua mano (Guillotin)

fait soudain            costruisce all’improvviso

une machine          una macchina che

humainement qui tuera   ammazzerà con umanità

Et que l’on nommera         e che si chiamerà

Guillotine.”                           Ghigliottina.

Contrariamente a ciò che molti credono, Guillotin non è stato ghigliottinato. È morto il 26 marzo 1814 per causa naturale, da un antrace. Fino all’ultimo ha sofferto dell’uso improprio che si era fatto del suo cognome e parlando della ghigliottina, l’ha definita: “la tache involontaire de ma vie” cioè “la macchia involontaria della mia vita.” Crudele beffa del destino: è passato alla storia come il padre di una macchina imbrattata di sangue che non ha neppure inventato! Mai avrebbe immaginato che il meccanismo destinato a “umanizzare” l’esecuzione dei criminali, si sarebbe trasformato in uno strumento di potere destinato a sgozzare avversari politici.

La Place de Grève ha lasciato alla posterità un ricordo meno sordido di quello di Guillotin; si è ripulita del sangue che l’aveva macchiata. Tutto sommato, il suo nome risuona ora in maniera positiva. Gli eventi macabri che l’hanno travolta e gli spettacoli di morte di cui è stata il palcoscenico sono ormai lontani. Ha legato il suo nome a un diritto, pienamente riconosciuto nella Costituzione solo il 27 ottobre 1946: lo sciopero. Tra il XII secolo e il XVIII secolo si sono innalzate dal suo selciato grida di gioia e di dolore, contrattazioni accalorate di mercanti e tumulti accesi di rivoltosi … ma si è anche inerpicata la voce silenziosa e insistente di uomini che erano soliti radunarsi lì nella speranza di trovare un lavoro; uomini che stavano in Grève per mettere a disposizione le loro mani di operai non specializzati.

Da metà Ottocento, l’espressione “andare in Grève” cambia senso. Si verifica uno slittamento di significato. Grève con la G maiuscola, nome proprio della piazza, passa ad indicare un’azione particolare svolta su questa piazza, diventando di colpo un nome comune con la g minuscola: “la grève”.

Sciopero dei minatori nel nord della Francia (Pas- de-Calais) 1906

Non sono più uomini disoccupati che vanno in Grève ad offrire a titolo individuale la loro disponibilità a un datore di lavoro. No, adesso sono uomini che decidono tutti insieme di sospendere la loro attività professionale per esprimere all’unisono le loro rivendicazioni. Sulla piazza vanno uomini che non accettano più il modo in cui sono costretti a lavorare e che partecipano a una lotta comune per fare valere le loro esigenze. La richiesta passiva, muta e individuale ha lasciato il posto a una richiesta attiva, stentorea e collettiva: gli uomini non “stanno in Grève” come un serbatoio di manodopera inerme ma fanno grève, fanno sciopero per obbligare i capi a migliorare le loro condizioni di lavoro e ad aumentare la loro retribuzione.

Siamo giunti al termine del nostro viaggio parigino; abbiamo inseguito con tenacia il vocabolo “grève” dal Medioevo fino ai giorni nostri. A mo’ di sintesi, il nostro diario di bordo riporta: “Da come una parola umile, terragna, nata per indicare la riva umida e ciottolosa di un fiume, acquista un’iniziale maiuscola per nominare una piazza che si copre di orrori nel cuore di Parigi e infine recupera dignità e onore, ritrovando la sua minuscola di partenza per designare un’azione volta al progresso sociale e alla trasformazione del mondo di lavoro.

 

                                                                                                        Joëlle

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