Voce della natura

Nella vita, certe esperienze rimangono indelebili. Dal nostro passato si affacciano momenti particolari conservati nel profondo della memoria, come incisi su tavolette d’argilla. A volte, questa scrittura primordiale fissa episodi della nostra esistenza che ci hanno marcato a nostra insaputa. Nel periodo stesso in cui li vivevamo, questi momenti non sembravano degni di essere ricordati eppure, ancora oggi, non li abbiamo dimenticati.

Mia nonna e io nel giardino di Tréboul

Da bambina trascorrevo le ferie di Pasqua e l’intero mese d’agosto in Bretagna nel Finistère, letteralmente “Fine della terra”. Mia nonna abitava a Tréboul, piccolo villaggio di pescatori bagnato dal turbolento Atlantico. Aveva trasformato lo spazio intorno alla sua casa in un giardino coloratissimo. L’orto non l’interessava: dal suo terreno non ha mai estratto una cipolla o ricavato un cesto d’insalata. Si dilettava a coltivare fiori e nutriva una preferenza spiccata per le bulbose. Le sue mani esperte creavano un arcobaleno di petali. A Pasqua, mi salutavano primule, anemoni, tulipani, giunchiglie, camelie… La mimosa, addobbata da soffici pallini gialli, scuoteva dolcemente il suo fogliame leggero.

D’estate ero circondata da campanule, nasturzi, margherite, lavande, fucsie, ortensie, gladioli e soprattutto da alte e splendide dalie che sfoggiavano colori accesi. Il giardino della nonna costituiva ai miei occhi, un piccolo paradiso dove mi rifugiavo nel pomeriggio per leggere, disegnare o semplicemente fantasticare. Intorno ai fiori ronzavano api e altri insetti. Il chiacchierio degli uccelli riempiva l’aria; non so se fossero più intenti a bisticciare che a mandarsi messaggi d’amore ma il loro fischiettio mi trasmetteva un sentimento di serenità e tuttora mi comunica un senso di pace. L’imponente pino che troneggiava al centro del giardino dava asilo a una coppia di tortore. Il loro dolce seppure monotono tubare si è impresso nella mia mente: “rucucu… rucucu”. Ogni volta che lo sento, mi compare la vecchia dimora di granito grigio dalle persiane verde smeraldo e dal tetto spiovente di ardesie blu. Rivedo la facciata inghirlandata dal glicine nodoso che ostenta lunghi grappoli viola.

Nello stesso modo, il verso acuto dei gabbiani così simile al pianto stridulo dei neonati mi riporta alla casa della nonna, alla spiaggia dove pescavo i gamberetti con il retino, alle passeggiate sulla sabbia in cerca di conchiglie vuote abbandonate dalla marea. Le loro note discordanti accompagnano sempre, nella mia memoria, le bianche vele che scivolavano al ritmo del vento sull’oceano blu increspato di schiuma. Il grido del gabbiano mi è familiare e diventa quasi melodioso perché rievoca momenti spensierati e felici passati con mia nonna.       

                                                                                      Joëlle

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