Che rapporto ho col mio naso?
Io e il mio naso viviamo in pace. Lo ringrazio di non essere troppo invadente; lui apprezza che lo accetti così com’è. Non è un nasino ma neppure un nasone. Non è da medaglia ma neanche da circo. Non desta ammirazione. Non suscita stupore. È un naso comune, tranquillo. È umile, non si fa notare più di tanto. Se certe volte, si veste di rosso, non lo fa per civetteria: è segno che sono molto raffreddata oppure che è andato in giro senza crema solare. Non è colpa sua, poverino, unico rilievo nella pianura del mio viso! Per forza è il primo ad affrontare, dovrei dire “annusare”, le intemperie. Accetta la pressione aggressiva delle mie unghie sui suoi punti neri, senza brontolare. Fosse stato per lui, non avrebbe scelto di nascere nella parte mediana della mia faccia, dove la pelle è più grassa. Avrebbe preferito una zona meno esposta, più adombrata; magari, vicino a un orecchio … “No, momento! E poi gli occhiali dove li metto?” Intanto, non ha voce in capitolo. Tutto dipende dal grande manitù, il Codice Genetico: gli ha assegnato il posto dove stabilirsi e ha pure deciso la forma che doveva assumere. I suoi ordini non si discutono: il mio naso ha obbedito.
Gilles di Watteau
La mattina, non lo prendo in considerazione. Ci conosciamo, gli voglio bene ma mi dimentico di salutarlo. Lo guardo senza vederlo. Ovvio, se avesse abbandonato il suo posto, stanco di rimanere appeso alla mia faccia o spinto dalla voglia di affrancarsi, me ne sarei accorta subito. Sarebbe un bel guaio trovarsi al risveglio nella situazione di Kovalèv, il piccolo funzionario uscito dall’immaginazione di Gogol: “Con suo sommo stupore, vide che al posto del naso, aveva uno spazio perfettamente liscio!”. Bene, lasciamo da parte il realismo magico. La mattina, davanti allo specchio, focalizzo l’attenzione sugli occhi, no sul setto nasale: “ Buongiorno occhiaie, come state?” “Cara, dovresti andare al letto prima; così sembri un panda!” Questa visione frontale schiaccia il mio naso e ne sminuisce il volume. Non risalta, passa quasi inosservato. Non a caso, da bambini, lo raffiguriamo come una magra stanghetta o due secchi puntini sul foglio da disegno. Nell’ovale del volto, i protagonisti sono gli occhi e la bocca. È incontestabile. Facile! Che merito hanno: sono liberi di muoversi, di esprimere i loro sentimenti. Gli occhi si aprono, si chiudono; lo sguardo si fa languido, severo, perfido … La bocca può sfoggiare un sorriso, inventarsi una smorfia. E lui? Se riesce a storcersi, è già tanto. Come competere? Gli sembra di essere il “Gilles” di Watteau: impacciato, rigido e terribilmente inespressivo! In una visione laterale, prende la sua rivincita: diventa l’attore principale. Ostenta le sue dimensioni e la sua forma. Si esibisce. Lo sa Cyrano de Bergerac: “Mi esalto, mi abbandono … finché non scorgo all’improvviso l’ombra del mio profilo sul muro del giardino”. Sentiamolo nella lingua di Edmond Rostand perché la traduzione, sopprimendo la rima, toglie la musica del verso originale:
« Je m’exalte, j’oublie…et j’aperçois soudain
l’ombre de mon profil sur le mur du jardin »
Allora, naso mio, sei l’appendice al centro del mio volto, un tratto caratteristico del mio profilo! Cyrano mi batte sulla spalla: “Eh no! È un po’ poco … Ce n’erano di cose da dire …”per descriverlo. È vero, ha ragione, la mia definizione è riduttiva. Il naso assume un compito primordiale: senza tregua, va a caccia di aria che convoglia verso i polmoni. La filtra e la riscalda o l’umidifica secondo i bisogni. Un’attività che inizia alla mia nascita e che svolgerà fino al mio ultimo respiro. La vita comincia su un’inspirazione; il mio primo scambio con il mondo esterno è avvenuto tramite le mie narici. Il naso ha segnato il mio primo vagito, il distacco dal corpo di mia madre, l’inizio della mia indipendenza. Gli antichi egizi consideravano le narici, una porta della vita. Pensavano di provocare la morte di un nemico, spaccando il naso della sua statua. Nel racconto della Genesi, Dio infonde a Adamo la forza vitale attraverso il naso: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
Il naso, porta d’ingresso all’ossigeno, prima tappa del nostro respiro e dunque simbolo di vita. Potrebbe bastare, è più che sufficiente, ma il suo ruolo non si ferma qui. Il naso ci permette di captare gli odori: è il santuario del nostro organo dei sensi più arcaico. Nel paleolitico, l’olfatto era un alleato di peso per trovare cibo, fiutare animali pericolosi, scegliere un partner. Oggi, lo consideriamo il parente povero dei nostri sensi, forse perché troppo legato al nostro istinto. In una società dell’immagine, delle apparenze, dove la vista è regina, l’olfatto occupa il posto di un misero suddito: non è degno di attenzione, è troppo volgare, troppo grezzo per meritare il nostro rispetto. Lo svalutiamo per evidenziare un distacco fra noi e gli altri mammiferi.
Ci rassicura tenerlo a distanza: siamo esseri superiori, siamo più evoluti. Non annusiamo come i cani, non siamo mica delle scimmie! Eppure, i neonati, molto prima di individuare la mamma con la vista, la riconoscono al suo odore. Naso, ti ringrazio di aprirmi sul mondo degli aromi. Un odore mi può ripugnare, mi può attrarre, mi può insospettire: si inserisce comunque nel vasto paesaggio delle mie emozioni. Senza odori, il mio mondo perderebbe una dimensione importante. Un semplice raffreddore non solo ostacola il mio respiro ma affievolisce la mia percezione gustativa. Senza il naso, le papille linguali zoppicano: il cibo perde sapore. Naso, anche il piacere di mangiare dipende da te!