Osservando le onde

Quali pensieri mi ha suggerito l’inarrestabile movimento delle onde? Tante volte ho osservato il mare. Da ragazza trascorrevo metà delle vacanze estive vicina all’Atlantico, metà vicina al Mediterraneo. In Bretagna entravo in contatto con un mare freddo, tonico, dall’odore deciso e penetrante. In Corsica incontravo un mare dall’odore meno pronunciato ma tiepido e cristallino, propizio alle lunghe nuotate.

Seduta sulla spiaggia in riva al mare, circondata dal chiasso dei bagnanti, fissare le onde trascinava la mia mente in un’altra dimensione. Il corpo rimaneva ancorato alla sabbia ma la testa librava sulla distesa liquida come un gabbiano. Era estraniarsi dalla gente, allontanarsi per un istante dalla cacofonia e sincronizzarsi sul ritmo della Natura. L’andamento regolare del flusso imprimeva quiete nel mio cuore. Sapevo già che le increspature bianche e spumeggianti formatesi in lontananza sarebbero pian piano venute ad infrangersi sulla riva; sapevo che tre onde più alte facevano seguito a tre onde più basse. Anche il timbro sordo della loro voce e il loro sciabordio ripetitivo contribuivano a creare un quadro rassicurante. Erano la musica del dolce far niente e l’immagine di un via vai tranquillo. Trasmettevano al mio corpo riscaldato dal sole una sensazione di profondo rilassamento.

Quando il vento soffiava forte sulla costa bretone, osservare le onde mi comunicava una sensazione ben diversa. La loro schiuma diventava la bava di un toro inferocito che sbatteva la testa contro la scogliera e vociava la sua forza in un rombo terribile. Allora pensavo alla fermezza dei guardiani di faro al tempo di mio nonno e al sangue freddo dei pescatori presi nella tempesta. Quando il mare si scatena, quando le onde si gonfiano e s’innalzano, ho sotto gli occhi la potenza della Natura e l’estrema fragilità dell’essere umano. Raggiungo Giordano Bruno e Pascal nella loro definizione dell’Uomo: “ombre profonde” per il primo, “canne” per il secondo.

Una vicenda personale mi lega all’onda.
È una storia che poteva avere un esito drammatico e invece si è conclusa nei migliori dei modi. La mia memoria non conserva nessuna traccia diretta dell’accaduto; mio padre mi ha riferito i fatti. Avevo due anni. Stavo su una spiaggia nel golfo di Ajaccio insieme ai miei e a una coppia di amici. Il mare era agitato. Per un attimo sono sfuggita alla sorveglianza degli adulti. Mi sono avvicinata al mare che mi attraeva. Un’onda mi ha fatto perdere l’equilibrio e mi ha rapita. Ero impigliata nel suo vortice; la mia testolina appariva e scompariva nella schiuma. Senza l’intervento di mio padre e del suo amico, sarei finita annegata, succhiata dal riflusso marino. Zampino della Fortuna o della Provvidenza? Ognuno l’interpreta secondo il suo credo. Comunque, non sono stata per niente traumatizzata dal ballo vertiginoso con l’onda. Mi sono scrollata di dosso l’acqua come una piccola foca che esce dal mare e ho semplicemente dichiarato: “Oëlle a bu” ossia “Oëlle ha bevuto”.

                                                                                Joëlle

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Perché mi circondo di libri?