Perché mi circondo di libri?
Nel “De tranquillitate animi” Seneca ha scritto: “A che servono libri innumerevoli e intere collezioni se, nell’arco della vita, il padrone riesce a malapena a leggerne i titoli? Chi possiede molti libri, non è detto sia lettore”.
Sbalorditivo! Sono passati quasi duemila anni e la riflessione del filosofo non ha preso una ruga. Com’è attuale! Seneca mi ha centrata, mi ha colpita in pieno. Mi riconosco. Quanti libri ho letto di tutti quelli che mi circondano? Pochissimi. Eppure, continuo a comprarli come se non avessi più niente da leggere in casa. Colmo del paradosso, non sono nemmeno una grande lettrice; non sono una divoratrice di libri.
Da tempo, la vasta libreria del salone non ha più posti disponibili. Numerose enciclopedie sono migrate nel ripostiglio; diverse opere sono finite su delle mensole in garage. In camera mia, due librerie affollate montano la guardia a destra e a sinistra del letto. In camera di mia figlia, le pareti sono tappezzate di libri. Libri dei miei nonni sono stati trasferiti a Scandicci. Dalla Francia fino in Italia ho trasportato in macchina i miei libri, stivati in scatole di cartone.
Dopo una mostra, sfoglio il catalogo: se mi piace, lo compro. Mi fermo a visitare un posto in Italia o all’estero e riparto con una guida del luogo. Quando entro in una libreria, esco di rado a mani vuote. È più forte di me. Mio marito lo sa e sorride. “Questa volta, non hai preso niente. Strano, non c’era qualcosa d’interessante?” I libri mi attraggono, ho piacere a comprarli, li voglio intorno a me. Sono affetta da “sindrome da shopping”? Può darsi. Ma la mia foga si concentra sui libri; non accade per i vestiti o altri oggetti. Buffo! Ogni volta, compro con la ferma intenzione di tuffarmi al più presto nella lettura del mio nuovo acquisto. Lo sistemo subito sullo scaffale, attenta a scegliergli un posto adeguato: il romanzo verrà collocato vicino ad altri romanzi, il saggio accanto ad altri saggi, la guida insieme ad altre guide. Con tutti gli onori, il “novellino” entra a fare parte della numerosa famiglia ma spesso rimane anni sullo scaffale prima che lo degni d’uno sguardo. Allora perché lo compro?
Lo acquisto per accrescere la mia collezione? Come una figurina Panini: “Mima … celo, celo, mima … celo”. Direi di no. Lo considero un oggetto da esibire? I miei libri non sono preziosi come quelli dei contemporanei di Seneca. All’epoca del filosofo, erano lunghissimi rotoli scritti a mano. Tutte gemme nelle biblioteche private! A casa possiedo un solo libro veramente costoso; troneggia su un leggio perché ne vado fiera. Piccola concessione alla mia vanità! Comunque, il suo prezzo è irrisorio in confronto a quello dei manoscritti. Nel Quattrocento, il mondo dei libri è rivoluzionato dal tedesco Gutenberg: l’avvento della tipografia consente una replicazione fedele e veloce. Di colpo, il costo del libro diminuisce drasticamente permettendo la sua diffusione su grande scala e l’apertura di biblioteche pubbliche. Ora sono oggetti comuni, si possono reperire con grande facilità. Non sono più oggetti di lusso riservati a un’élite. Della stessa opera, si trovano edizioni più o meno economiche: la differenza risiede nella carta utilizzata, nella qualità dell’impressione, nella rilegatura, nel numero delle copie. Inutile negarlo, sono sensibile all’aspetto esteriore del libro, ma sono convinta che il suo valore risieda prima di tutto nel suo contenuto. Ogni libro, come una piccola gabbia, racchiude un canto. Allineate sugli scaffali, le mie gabbie sono mute e misteriose. Lasciano solo apparire il titolo dell’opera e il nome dell’autore. Per liberare il canto, bisogna aprirle e concentrarsi nella lettura. Richiede tempo e attenzione. Il canto? : la voce dello scrittore, intrappolata nelle pagine. Quando lo prendo in mano, il libro cessa di essere oggetto e diventa soggetto; si fa portavoce dell’autore, trasmette il suo messaggio, il suo pensiero. Mi affaccio sul mondo di un altro, mi confronto con le sue idee, le sue descrizioni, i suoi personaggi. Il mio intelletto interpreta, la mia immaginazione si attiva. Nascono delle domande che stimolano la mia riflessione. Trovo delle risposte che accrescono la conoscenza di me e degli altri.
Rispetto il libro. Lo tratto con cura. Non faccio le orecchie alle pagine, uso un segnalibro. Non lo sfoglio con le mani sporche. Evito di inserire al suo interno fiori o foglie che lasciano impronte indelebili sulla carta. Se mi capita di annotare qualcosa, lo scrivo sempre a matita. Una volta, ho usato l’evidenziatore per mettere in risalto una frase che mi era piaciuta. Me ne sono subito pentita: mi sembrava di aver compiuto un atto sacrilego!
Non ha senso comprare libri in un’epoca tecnologica come la nostra? Sono passati di moda, sono antiquati, sono anacronistici. Consumano carta, sono dei “mangia spazio” e dei “raccata polvere”. Non m’importa, li rivendico. Mi consigliate il kindle che permette di trasportare in un piccolo rettangolo centinaia di opere. No, grazie! Avete reso indispensabile il computer, insostituibile il cellulare, avete introdotto il computer nel cellulare e ora pensate di sopprimere i libri di carta per rimpiazzarli con dei libri elettronici? Io, voglio girare le pagine, non strisciare il dito su uno schermo. Voglio accarezzare con lo sguardo tutte le gabbiette che popolano i miei scaffali, spostarne una, aprirne un’altra e pazienza se non riuscirò a sentire tutti i canti che contengono. Già la loro presenza mi rasserena, mi rassicura, mi avvicina al mondo degli uomini e mi allontana da quello delle macchine. No all’e-book! Viva Gutenberg!