I tassi di Campanile
“La quercia del Tasso” è un testo breve che il giornalista e umorista Achille Campanile fa pubblicare una prima volta nel 1973 nella sua raccolta di 48 racconti Il manuale di conversazione e una seconda volta nel 1975 insieme alle 39 storielle costitutive del suo libro Vite degli uomini illustri.
Oltre a divertirmi, il brano di Campanile ha acceso in me la voglia di cogliere a pieno la trama dei giochi di parole. Con l’aiuto dei miei disegni ho provato a districarmi nel groviglio dei tassi, a dipanare la matassa dei tassi. Ero risoluta a trovare il sentiero percorso dall’autore, a non perdere il senno nel suo affresco vegetale tassonomico, a non lasciarmi sopraffare dall’affastellamento di lemmi del suo racconto.
Potrà sembrare un approccio puerile ma dopotutto, i disegni giovano all’apprendimento e fanno chiarezza nei concetti astrusi. Ecco dunque illustrata “La quercia del Tasso”:
Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada, si chiama la quercia del Tasso perché, come avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto quand’essa era frondosa. Anche a quei tempi la chiamavano così. Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la t maiuscola e della quercia del tasso con la t minuscola.
In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso °. Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano il tasso del Tasso e l’albero era detto la quercia del tasso del Tasso da alcuni, e la quercia del Tasso del tasso da altri.
Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, e poeta anch’egli) il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “È il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?” …
Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta la guercia del Tasso della quercia, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta la quercia della guercia del Tasso; mentre quella del Tasso era detta la quercia del Tasso della guercia: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso. …
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi. Viveva. E lo chiamavano il tasso della quercia della guercia del Tasso, mentre l’albero era detto la quercia del tasso della guercia del Tasso e lei la guercia del Tasso della quercia del tasso.
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto il tasso del Tasso. Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente e, durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come il tasso del tasso del Tasso.
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora il tasso barbasso del Tasso; e Bernardo fu chiamato il Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal Tasso del tasso. Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora l’animaletto fu indicato da alcuni come il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; e da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Tassa di Torquato
l comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso. …
Tassa di Bernardo
La quercia del Tasso Arthur John Strutt
La quercia del Tasso non irrompe dalla fantasia sbrigliata di Campanile; esiste realmente e si erge davvero su un pendio del Gianicolo, un colle di Roma il cui nome deriva dal dio bifronte Janus. “Si erge” è parola grossa! In verità si storce per il dolore, la vergogna e la vecchiaia. Gli tocca ingoiare le smorfie talvolta compassionevoli ma di frequente disgustate dei visitatori. L’immagine che offre di sé stesso lo fa rabbrividire: miserabile legno carbonizzato, sorretto da un pezzo di muro e imbracato da odiose cinture metalliche. Egli, l’albero di Giove, così malamente ridotto! Fino a un secolo e mezzo fa, era assai fiero di aver ospitato nell’aprile 1595, sotto la sua maestosa capigliatura, le ultime soste del grande Torquato. Se ne vantava. Magari, un po’ troppo! Con un fulmine scoccato nel 1843, Giove l’aveva richiamato a più modestia, l’aveva castigato per vanagloria.
Oggi, cosa rimane delle lucenti fronde, dei rami vigorosi e altieri? Nulla. Allora perché si incaponiscono a conservarlo in piedi, a fissare i suoi desolanti resti come spoglie vive? È come se gli volessero infliggere il supplizio di Titone, l’infelice sposo di Aurora: invecchia restando immortale. Neppure l’incendio doloso del 2014 ha messo fine al suo tormento. A dispetto di tutto, l’amministrazione comunale mantiene, vicino all’anfiteatro, i suoi relitti inceneriti a guisa di cimelio. Il vecchio albero anela di poter riposare in una teca nella vicina chiesa di Sant’Onofrio a fianco del grande Torquato. Proposta inaccettabile e surreale? Allora, di grazia, tagliate il suo tronco a pezzetti e vendetelo in bustine: “Frammento della quercia che ha condiviso gli ultimi giorni del Tasso”. Con il ricavato, innalzate al suo posto una statua che lo raffigura al tempo del grande Torquato e che lascerà di lui un’immagine degna e un ricordo piacevole.
Insieme al gioco esuberante della polisemia di “tasso”, delle allitterazioni e dello scioglilingua che scatena la nostra ilarità e ci diverte, traspare un dissenso di Achille Campanile sotto forma di interrogativo caustico. Come mai la città di Roma attenta a fare pagare la tassa di occupazione del suolo pubblico, si dimostra così noncurante per lo stato di degrado di un “monumento” alla memoria di uno dei suoi massimi poeti?