Dove ho fatto esperienza?
In campo culinario ho fatto esperienza ma non sono diventata un’esperta, ho semplicemente esperimentato. Se mangiare, è comune a tutti gli animali, cucinare è proprio dell’uomo. Gli altri esseri viventi si cibano di quel che trovano in natura senza cercare di trasformarlo minimamente; l’uomo lo modifica per renderlo più digeribile e soprattutto più gradevole. I gusti si evolvono attraverso i secoli, cambiano da popolo a popolo e addirittura da persona a persona ma l’azione di cucinare ci accomuna. “Cucina” deriva dal latino “coquĕre” cioè cuocere. Come lo rivela l’etimologia, quando cuociamo il cibo, siamo già cucinando!
Da trent’anni, passo diverse ore della giornata dietro i fornelli. Il tempo speso con gli alimenti, circondata da pentole, padelle, frustino, mattarello e attrezzi vari non rappresenta l’unico criterio per cui posso affermare di aver fatto esperienza. Se mi fossi accontentata, settimana dopo settimana, di riprodurre le medesime ricette, non avrei progredito. La voglia di provare abbinamenti nuovi, la curiosità per sapori diversi, mi spingono tuttora a sperimentare. Queste spinte all’innovazione non sono lineari nel tempo: a periodi di relativa calma, seguono periodi di febbrile creatività.
Nei momenti di ricerca più intensa, metto i miei alla prova. Quando volevo scoprire come ottenere una schiacciata alla fiorentina con lievito di birra, ricetta tenuta ovviamente segreta dai pasticcieri, mia figlia e mio marito hanno dovuto mangiare, per giorni, “tentativi di schiacciata”. Fortuna vuole che siano entrambi di bocca buona: senza ricalcitrare, assaggiano i risultati di esperimenti più o meno falliti. Qualche anno fa, ho un tantino esagerato. Un amico mi aveva dato un libro che raggruppava un numero cospicuo di ricette sul pane. Ogni volta che preparavo l’impasto, sceglievo apposta una ricetta diversa perché avevo deciso di realizzare tutti i pani descritti nel libro.
Ho ricevuto complimenti per il pane di segale, il pane alle noci, il pane di ramerino ma il pane alle carote, quello alla zucca, il pane alle prugne e cioccolato hanno stuzzicato il nervosismo di mio marito. Mi ha richiamato all’ordine e mi sono sentita colpevole: “Quando lo fai, un pane normale?”.
I libri di cucina sono di rado il punto di partenza della mia ispirazione. Ne compro pochi e la maggior parte di quelli che possiedo mi sono stati regalati. Riscuotono uno strepitoso successo dal pubblico e nelle librerie occupano diversi scaffali. Il loro commercio è altamente redditizio: alla fine dell’anno spuntano nuovi libri di cucina come palline di Natale. M’interessano il giusto. Ritaglio invece volentieri la ricetta sfiziosa scoperta per caso in una rivista e la sistemo in un voluminoso classificatore. Così, col passar del tempo, ho costituito un mio raccoglitore personalizzato. Mi piace aggiungerci le ricette di piatti cucinati dalle mie amiche e che ho assaggiato da loro. Sono il frutto di un’esperienza culinaria diversa dalla mia e sono ancora più preziose quando derivano da una tradizione familiare. Non seguo le teatrali trasmissioni televisive dedicate alla cucina. Proporre uno spettacolo che mette in scena il talento di un “master chef” americano fa figura di ossimoro per non dire una parolaccia. Non vi sembra una presa in giro?
Il mio ricettario patchwork
Mi avvicino sempre a una ricetta con spirito critico cercando di conciliare gastronomia e salute. Spesso non la seguo alla lettera, non temo di modificarla per introdurre una nota personale o per ridimensionare certi ingredienti. Controllo quel che bolle in pentola; devo valutare la cottura e il sapore del cibo. Non mi sognerei mai di portare in tavola una pietanza senza averla prima assaggiata. Vorrei che tutto fosse ottimo per i commensali.
Visto l’assenza d’interesse della mia mamma per la cucina, ho pensato a lungo che il mio coinvolgimento nella preparazione del cibo fosse del tutto casuale e spontaneo. Un’amica corsa, proprietaria di un noto ristorante ad Ajaccio, mi fece riflettere: “C’è sempre un modello per il quale siamo stati stimolati a cucinare. È impossibile che non l’abbia avuto anche te!” Facendo mente locale, mi sono accorta che mia nonna mi aveva dato l’impulso. La sua cucina era semplicissima, dal pesce in forno alle “crêpes”, ma ogni piatto era gustoso e preparato con amore. Mi ha trasmesso il piacere di cucinare. Trovo avvincente trasformare in arte l’azione più naturale di ogni essere vivente: mangiare.