Carta e penna

Il mio libro della prima elementare

Ai giorni nostri, “vocabolo” risulta un po’ antiquato; gli si preferisce il termine “parola”. Comunque entrambi rappresentano un’unità lessicale, un “lessema” come lo definiscono i linguisti. I vocaboli, singoli mattoni dell’intera architettura di ogni lingua, confluiscono nel loro sommo contenitore: il vocabolario. La nostra lingua è viva, si trasforma nel corso dei secoli lasciando dietro di sé i vocaboli vetusti, fuori uso e fuori moda, e creando contemporaneamente delle parole nuove, i cosiddetti neologismi. È inevitabile che certi vocaboli  vengano sfrattati dal vocabolario mentre altri per motivi di consuetudine prettamente orale o per necessità tecniche, vengano accolti.

Senza dubbio, il nostro primario approccio al vocabolo è orale. Lo conosciamo tramite i nostri genitori quando veniamo al mondo. La nostra cerchia stretta ce lo trasmette, via messaggi verbali. Difatti, il termine contiene la parola latina “vox”(voce), quindi rimanda a un suono. Ci hanno applaudito quando abbiamo pronunciato il primo vocabolo: era il nostro primo piccolo passo nella lingua materna. Poi, il nostro linguaggio si è sviluppato, abbiamo sistemato i vocaboli con fatica, uno dopo l’altro, per formulare i nostri bisogni, articolare i nostri pensieri. A proposito, senza i vocaboli esiste un pensiero ?

La nostra prima conquista dei vocaboli è dunque stata orale; la seconda è arrivata anni dopo, con la scrittura. Quest’ultima mi ha incantata. Rivedo il ragazzino leggermente più grande di me, che tracciava i primi vocaboli sulla pagina del suo quaderno: piccoli vagoni di lettere che si distanziavano ad intervalli regolari. Stregata, seguivo con estrema attenzione la mano che formava la curva ammagliante delle lettere. Avrei voluto occupare il suo posto, impadronirmi della sua penna per imitarlo… Approdata in prima elementare, ho finalmente soddisfatto la mia sete di calligrafia: riproducevo fedelmente i vocaboli seguendo il modello con precisione.

Penso che l’amore per la mia lingua sia nato dall’incontro “sensuale” con la scrittura.

Intingo la penna nel calamaio fissato dentro l’alloggiamento circolare del banco. Sento il pennino grattare dolcemente la pagina mentre rilascia un inchiostro viola dall’odore lievemente pungente.

1.jpg

Vicina , la carta sugante si tiene pronta ad assorbire l’irreverente macchia. Sono agli antipodi di Daniel Pennac che, nel suo “Diario di scuola”, ci confida di aver trasformato le lettere da riprodurre in “piccoli esseri che scappavano ai margini del foglio”. Erano ideogrammi, messaggeri del suo bisogno di fuggire dall’universo scolastico. Per me, rispettare l’altezza delle lettere, formare il tondo perfetto delle “a”, delle “o” non costituiva per niente un diktat; lo assimilavo a un disegno, mi ci dedicavo con applicazione. Felice, mi conquistavo la scrittura.                                  

Joëlle

 
Indietro
Indietro

I miei luoghi di origine

Avanti
Avanti

Cucinare come creare